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 16 luglio  TAGJKISTAN
 Frontiera-Dushanbe- Dangara  280 km circa
L’uscita dall’Uzbekistan è stata allucinante. Al nostro arrivo abbiamo trovato una lunga fila di persone, locali, in coda sotto al sole. K è rimasto accanto alla BMW mentre io mi sono accodata alla gente. Tutti erano in paziente attesa, con aria rassegnata, mentre io l'arrivo_a_dushanbemi sentivo ribollire per le lungaggini. Ho però avuto modo di parlare con una donna tajika, molto bella, che padushanberlava un buon inglese e traduceva quanto le dicevo alle altre. E’ stata una conversazione interessante. Mi ha spiegato che dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica e la proclamazione dell’indipendenza, parte del territorio che in passato era tagiko è rimasto all’Uzbekistan. Questo ha creato e crea tuttora motivi di tensione tra le due neo- repubbliche che sono sfociati anche in atti violenti. Poi un doganiere mi nota e con un cenno mi fa segno di entrare nell’edificio, superando la coda. Mi sento a disagio e mi scuso con la donna, ma sia lei sia le altre mi salutano con grandi sorrisi. All’interno ho dovuto compilare dei formulari in cui dichiarare quanto denaro possedevamo; mi hanno perquisito la borsetta alla ricerca di monete antiche e droga e svuotato l’astuccio dei medicinali, chiedendo spiegazioni su ogni medicina, in particolare sulla siringa con l’adrenalina che ho sempre con mesaluti, dato che soffro di allergie. Quando finalmente mi hanno apposto il timbro d’uscita sul passaporto e mi sono ritrovata nello spiazzo dove si trovava la moto, non mi è stato permesso di percorrere i 7/8 metri che mi separavano da Knut e dalla moto, fermi all’ombra della tettoia, in attesa del controllo bagagli. Abbiamo dovuto aspettare una di qua e l’altro di là, l’arrogante funzionario addetto al controllo bagagli che è arrivato 2 ore dopo. K. ha dovuto smontare le bagagliere, togliere i borsoni soprastanti e aprire il tutto. Il doganiere  ha perquisito minuziosamente ogni borsa, svuotando del loro contenuto i due sacchetti  con i medicinali e chiedendo spiegazioni su ogni prodotto. Quando ha trovato il pc, l’ha acceso ed ha visionato i file con tutte le fotografie che avevamo scattato nel Paese. L’Uzbekistan è veramente uno Ststradaato di polizia! Abbiamo così perso tre ore per…cretinate burocratiche. Per fortuna la frontiera tagika ci ha preso solo mezz’ora. I funzionari sono stati cortesi, sorridenti e rapidi. L’impatto con le strade tagike invece e con la guida dei locali è stato subito tremendo: sterrate miste a tratti con asfalto rovinato e buche, velocità tra i 20 e i 30 km l’ora. Appena la strada lo consentiva acceleravo, così, dopo una curva, la polizia ci ha fermato contestandoci un eccesso di velocità: 75 km l’ora dove il massimo era 60. Ho spiegato di non aver visto alcun cartello, dalla frontiera sin lì, che indicasse i limiti da rispettare. I poliziotti sono stati comprensivi e ci hanno lasciato andare augurandoci “ Welcome in Tajikistan”. Verso le 13,30 arriviamo a Dushanbe ( significa città del lushar_shar_tunnelnedì) la capitale. Decidiamo di fermarci solo per prelevare del contante ( 1000 somoni = 210 dollari) e ripartire subito poiché la strada da percorrere è lunga ed è ancora presto. Purtroppo si rivelerà un errore. La strada A 385, in direzione  Dangara, si presenta tutto sommato discreta, anche se con fondo rovinato e costellato di buche. Si viaggia però a rilento perché siamo costretti a fermarci spesso per aspettare i compagni di viaggio, che non segnalano mai quando intendono fermarsi, per non perderli, dato che ad un certo punto si dovrà cambiare strada e  imboccare una secondaria,  per procedere in direzione di Kuliab. All’uscita da un tunnel ci fermiamo a scattare numerose fotografie al lago artificiale di Nurek. Bellissimo! Incontriamo una coppia di russi su un BMW come il nostro, ma riusciamo a scambiare solo poche parole poiché non parlano inglese. Verso le 17,30 decidiamo di fermarci a Dangara per la notte, poiché mancano ancora 80/90 chilometri a Kuliob e non sappiamo come sono le condizioni della strada. Le uniche due gastinizu (alberghi) che ci vengono indicate sono fatiscenti, sporchissime, senza acqua corrente. Siamo piuttosto abbattuti e stiamo prendendo in considerazione l’idea di uscire dalla cittadina e piantare la tenda…Poi ci viene l’idea di chiedere alla padrona di un ristorante se possiamo dormire sui charpoy ( i larghi baldacchini su cui si mangia) dopo la chiusura del locale. La signora accetta, così parcheggiamo la moto, non senza difficoltà, nel giardino. Ceniamo con spiedini alla griglia e attendiamo che il ristorante chiuda. Man mano che sopraggiunge la notte l’aria si satura di umidità, ci si chiudono gli occhi, ma gli ultimi avventori, ormai ubriachi, tardano ad andarsene e non ci fidiamo a stendere i sacchi a pelo e lasciare in vista giacche, caschi, borse… Trascorreremo una notte agitata, dormendo completamente vestiti nei sacchi a pelo, accompagnati dal latrare dei cani randagi e dal rumore dei veicoli in transito sulla strada.

 

17 luglio
Dangara-Kalaikum  260 km ca.
Alle 5,00 siamo già svegli. Alle 6 prepariamo le moto, beviamo un po’ d’acqua e mangiamo 3 biscotti, poi, a fatica, riusciamo a tirar fuori le moto dal giardinetto fangoso dove le abbiamo parcheggiate. La strada da percorrere, all’inizio discreta, peggiora rapidamente. Diventa sterrata, ma a parte buche e resti di asfalto, il fondo si presenta di polvere di terra secca, di consistenza come la farina e profondo anche 15 cm. a tratti. Ad un certo punto la strada sparisce e ci troviamo a dover attraversare il letto sassoso di un fiume, dove alcune donne stanno facendo il bucato, mentre i bambini, in costume, giocano nell’acqua. Cadiamo una prima volta sulla sabbia perché la moto è troppo pesante e affonda. Più avanti, per superare un guado, scendo dalla moto per alleggerirla. Knut decide di passare il guado senza smontare le bagagliere dando gas. Nel punto centrale del fiume però l’acqua diventa profonda e la ruota anteriore s’incaglia contro un grosso sasso, facendo inclinare la moto su un lato. Usiamo tutte le nostre forze per risollevarla e quando finalmente arrivano anche i P. e D abbiamo già fatto! A cosa mai ci è servito accettare due compagni per il viaggio se quando servirebbe il loro aiuto non ci sono mai, commentiamo tra noi. La pessima strada prosegue ora nella stretta valle del fiume Pianji. Color cenere, corre impetuoso, selvaggio, segnando il confine con l’Afghanistan. Nei tratti in cui la valle si restringe, possiamo osservare scene di vita rurale sul versante afgano: bambini che fanno il bagno in un tratto placido del fiume, una fila di asini carichi e di uomini che perciclisticorre una stretta mulattiera, piccoli villaggi dalle casette color delle rocce.
Lungo la strada incontriamo un gruppo di ciclisti e ci fermiamo volentieri a scambiare quattro chiacchiere. Sono svizzeri, olandesi e inglesi, in viaggio da tre mesi. Più avanti, in un tratto in salita, superiamo un’altra coppia di ciclisti che arrancano e li salutiamo. Solo alle 18 raggiungiamo la meta odierna: il paese di Kalaikum. Troviamo alloggio in una home stay modesta N38°27.399' E70°47.304'( il gabinetto, in cortile, consiste in un buco nel pavimento; la doccia è una vecchia vasca coi piedini, tutta arrugginita, in uno stanzino in cortile). Dormiamo per terra, stendendo i nostri sacchi a pelo su strapuntini posti sul pavimento, per 20 dollari a coppia. Per cena ci rechiamo in un ristorante sull’altro lato della strada, che s’affaccia sulle acque impetuose del torrente Humb. Rientrati all’alloggio veniamo invitati dal padrone di casa a sedere accanto a lui e alla moglie sui tappeti stesi a terra e ricoperti di cuscini; ci vengono offerti cocomero e cay. Sono brave persone, semplici ed ospitali accettiamo volentieri e cerchiamo di conversare con l’uomo che conosce qualche parola d’inglese.
Più tardi ci attardiamo a chiacchierare con una coppia di ciclisti australiani arrivati poco prima. Apprendiamo che vivono in Mongolia da due anni, per lavoro. Così chiediamo informazioni riguardo il tragitto migliore da percorrere quando saremo in Mongolia. Ci consigliano il percorso a nord, verso Ulaangom e Moron perché paesaggisal_ristorante_a_kalaikumticamente più bello e interessante rispetto alla monotonia di quello a sud. Poi, augurata la buona notte ci ritiriamo a dormire.

 

 


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 18 luglio
 Kalaikum-Khorog 230 km. ca.
La mattina ci svegliamo con le ossa rotte, stanchissimi. Knut accusa ancora dolori al ginocchio sinistro colazionea causa delle cadute del giorno prima e noto che ha una caviglia gonfia. A colazione spazzoliamo in un attimo le uova al burro, le fette di pane e il cay bollente che il nostro ospite ha preparato. Non riusciamo comunque a mangiare tutto perché, da quando abbiamo messo piede nel Paese, abbiamo qualche disturbo gastrointestinale, meno io che sono ancora protetta dagli antibiotici, mentre K ha sempre un senso di nausea. K. va a recuperare la moto nel piccolo garage dove ci hanno consentito di parcheggiare per una modica cifra, poi, caricatala ed atteso che gli altri due finiscano la colazione, alle 9 partiamo. Impieghiamo quasi tutta la giornata per percorrere la distanza che ci separa da Khorog. La strada è un po’ migliore di quella percorsa ieri, nel senso che non si attraversano i letti dei fiumi, ma è comunque sempre disastrata. Inoltre è percorsa da molti camion difficili da sorpassare e che c’investono di polvere. Incrociamo anche parecchi fuoristrada lanciati a velocità pazzesca. In un punto la strada è interrotta da un ruscelletto, in un altro da una cascata, così, per prudenza, ogni volta scendo nei punti critici  per alleggerire la moto. Durante l’attraversamento di un villaggio immerso negli alberi, vediamo un motociclista fermo a comprare albicocche da dei mortenragazzini, davanti ad una casa. Ci arrestiamo al volo anche noi. E’ così che facciamo conoscenza con Morten, un danese che monta un Kawasaki 650, ed è diretto a Korog come noi. Ripartiamo insieme perdendolo e recuperandolo parecchie volte. Spesso s’ incontrano posti di controllo dove dobbiamo mostrare i passaporti e in cui registrano anche la targa delle moto. Il paesaggio è splendido: imponenti montagne, alcune con le cime innevate, sorgono sia sul versante tagiko sia su quello afgano. I piccoli villaggi che attraversiamo sovillaggi_afghanino immersi nel verde di grandi alberi, per lo più noci, albicocchi e filari di pioppi lungo la riva del fiume. I villaggi afgani sull’altra sponda hanno minuscole casette di mattoni di fango che si mimetizzano con le aspre e scoscese montagne marroni. Altri sono semi nascosti da pioppi flessuosi, attraversati da impetuosi ruscelli.
Nel pomeriggio arriviamo a Khorog, situata alla confluenza di tre fiumi, a quota 2000 m. e prendiamo alloggio per due notti al Lal’In Hotel N37°29.421' E71°32.626'. E’ un posto grazioso, con un bel giardino ricco di fiori e alberi, in cui sorgono tre piccoli gazebo. Foto di Hotel LA'L inn, Khorog
Photo albumQuesta foto di Hotel LA'L inn è offerta da TripAdvisor.

 

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